Il Sé ecologico


Embodiment, mindfulness, vitality e awareness formano una gestalt che può essere descritta come Ecology of self.
Il Sé ecologico di una persona è costituito da quello con cui essa si identifica. È possibile ampliare e approfondire il senso di Sé, aprendosi alle relazioni interpersonali fino a includere tutto ciò che è vivo sul pianeta e persino la Terra e l’Universo.
Il sentirsi vivi 11 si sperimenta quando si entra in relazione con le persone e con il mondo, sviluppando una percezione più profonda della realtà. La vitalità si percepisce quando si abbraccia la coesistenza con esseri diversi, che stanno esprimendo essi stessi la forza della vita.
Nell’atelier di agricura il Sé ecologico unisce il paziente e il terapeuta alla vita della natura attraverso la metafora agricola. Costitutivo è però l’incontro intersoggettivo paziente/terapeuta.
Il vissuto interpersonale dell’incontro terapeutico nell’atelier di agricura
favorisce la reciproca conoscenza di ciò che è nella mente dell’altro. Questa conoscenza non include solo pensieri e interpretazione, ma anche emozioni, sensazioni, desideri, motivazioni. Questi stati mentali, transitori o duraturi, creano un contesto asimmetrico di reciprocità. L’atelier agricolo pone di fronte due persone in ruoli diversi: un paziente e un
terapeuta. L’incontro è fondato sulla specificità delle pratiche di riconoscimento: la conferma della propria persona è data dal “sentirsi sentiti” dall’altro.
Nelle sessioni di agricura, tuttavia, i due s’incontrano attraverso la mediazione di un “terzo” che è la terra, la forza vitale della natura (che si rende esplicita anche attraverso la mediazione dell’agricoltore). La pratica terapeutica, centrata sulla manualità (embodiment), sul sentimento del “qui e adesso”, (mindfulness), sul movimento (le forme vitali) e sull’impatto emozionante della vita animale e vegetale (awareness) favorisce con un’evidenza documentabile (gli indici), l’incontro intersoggettivo e mitiga la rigidità della distinzione dei
ruoli.
Paziente e terapeuta riconoscono un avvicinamento reciproco dove è possibile
cogliere una caratteristica essenziale della pratica terapeutica: la mediazione della terra attiva una condivisione dei vissuti “momento per momento”, “qui, tra noi”. Nella seduta che chiude la sessione dell’agricura, il terapeuta non si limita a portare il paziente alla consapevolezza di ciò che ha vissuto e sentito emotivamente, cioè delle forme vitali esplorate in ogni dettaglio. L’atelier agricolo, inserito nel sistema di una fattoria sociale, è anche un evento performativo, forma vitale in se stesso, che coinvolge globalmente
paziente e terapeuta (l’agricoltore svolge un’opera didattica e supervisiona la sessione ma non partecipa in prima persona all’atelier).
L’Infant Research ha favorito la comprensione della relazione implicita condivisa dimostrando la centralità della comunicazione affettiva e interpersonale. Anche se il professionista usa la relazione come intermediario del cambiamento e pone quindi delle difese dal condividere il medesimo spazio di vita del paziente, è fuorviante presumere che, in un ambiente performativo, il terapeuta possa mantenersi fuori del sentire del paziente.
La forza performativa dell’atelier non può essere attivata se il terapeuta ricorre a risposte simulate, di natura tecnica, procedurale, prestazionale. La sua parola è efficace, è parola piena (J. Lacan), se corrisponde alla pratica di riconoscimento (che ha come fine la personificazione la quale, richiedendo spontaneità e affettività non può essere realizzata attraverso il meccanismo transfert/controtransfert). Nella parola piena che dona e riceve riconoscimento, paziente e terapeuta diventano due soggetti in dialogo. Questa esperienza non è verbalizzata durante l’atelier; può esserlo però nella seduta finale.






Questa scheda  è stata redatta da: Domenico Cravero   in data  01/04/2022



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