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LA PROGRESSIVA COSTRUZIONE DI UN'IMPRESA di AGRICOLTURA SOCIALE

AGRICURA: L'AGRICOLTURA CHE FA BENE


Uscire dal dolore mentale con l’agricoltura


Per indicare l’era geologica attuale, nella quale la causa principale delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche è l’uomo, è stato coniato fin dagli anni ottanta il termine “Antropocene”. Questa fase, dagli effetti deleteri, può essere superata solo attraverso una “nuova alleanza” (I. Prigogine) con la natura, ripensando a fondo i nostri stili di vita e i valori che ci orientano nel rapporto con la terra. L’Antropocene è, infatti, un’era geologica che consiste nella svalutazione di tutti i valori. La civilizzazione della modernità ha perseguito le sue conquiste applicando alcuni convincimenti, sostenuti sia dal pensiero filosofico sia dall’ideologia. Questi orientamenti sono poi diventati pratica popolare. Essi sono tanto evidenti da essere facilmente individuati: “Possiamo avere un controllo unilaterale sull'ambiente, dobbiamo quindi adoperarci per raggiungerlo”, “Lo sfruttamento delle risorse della terra si può espandere all'infinito”, “Ciò che conta è il vantaggio del singolo”, “La tecnologia ci permetterà di realizzare in maniera compiuta il determinismo economico”.
Queste idee si sono rivelate drammaticamente false. Esse hanno creato una situazione di contrapposizione di quelle condizioni che possono essere vissute solo in sinergie e unità: “Noi insieme all'ambiente, noi insieme agli altri”. L'individuo che immagina di occupare il “centro” dell’universo deve distaccarsi da questa deleteria presunzione e riconoscersi creatura, cioè corpo-mente che non può vivere senza le cose. La creatura che pensa di dominare il suo ambiente distrugge se stessa. La crisi drammatica dell’ecosistema e del lavoro umano (due questioni che non si possono considerare disgiunte) richiede un cambiamento di prospettiva. Una produzione competitiva e sempre più automatizzata, sta distruggendo, insieme alla natura, il lavoro. In questo sistema, i produttori perdono il loro saper fare, i consumatori abbandonano il loro saper vivere.
Non sarebbe però efficace una riflessione sui temi ecologici che facesse leva principalmente sulle paure, sulle minacce e sui disastri compiuti. Non serve al cambiamento indurre al panico, a causa dei rischi del presente e l’incertezza del futuro. È possibile, invece, fare ricorso alla forza del pensiero, all’azione coraggiosa e alle indicazioni delle buone prassi per imprimere un reale cambiamento di mentalità e di vita. È possibile pensare l’ecologia in termini planetari in rapporto ai tesori paesaggistici, biologici e umani da salvaguardare e al futuro delle nuove generazioni. Produttori e consumatori possono unirsi in una nuova sinergia di responsabilità che corregga l’uso consumistico delle cose e la perdita del lavoro. Ci sono altri modi di porsi davanti alla vita. Quella praticata finora non è l'unica maniera d’immaginare il mondo: si possono produrre altri pensieri, aprire altri stili di vita. Il tempo della crisi è anche momento creativo di domande feconde. Si possono sempre acquisire nuovi dati dalla ricerca scientifica e umana, senza tuttavia dimenticare le acquisizioni del passato.

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Con la terra si sta bene


Un contributo innovativo importante può venire dai percorsi di cura e del dolore mentale (in senso ampio) attraverso la terra. La nuova legge sull’agricoltura sociale incoraggia attività pedagogiche ed educative per l’educazione ambientale e alimentare, e considera il lavoro della terra una risorsa terapeutica anche in condizioni di disagio psichico, fisico e sociale. L’agricoltura multifunzionale si arricchisce così di nuove opportunità umane e solidaristiche.
Con la terra, innanzi tutto, si sta bene. Il benessere psicofisico è un primo importante obiettivo di salute e di cura. Una società è civile se cerca di garantirlo a tutti e si propone in particolare di assicurarlo a chi vive condizioni di svantaggio o di emarginazione. Nella nostra epoca il valore della salute e l’incanto della natura sono temi efficaci per educare alla cura della vita. Il senso del bello è un potente rimedio alla materialità insipiente del consumismo e denunciare gli errori dell’uso insensato della tecnologia. La bellezza non ha in sé alcun fine; ha valore per sé. Costituisce quindi uno stimolo potente ed efficace per superare il predominio dell’utile e del calcolabile. Il sentirsi bene, a contatto con la vita della natura, è la prima esperienza emotiva che aiuta la persona in trattamento a lasciar emergere una nuova percezione di sé, ad aprire spiragli di speranza e a dare valore a una quotidianità spesso pesante e vuota. Può instaurarsi così una circolarità virtuosa tra la percezione gradevole del corpo e la motivazione alla guarigione.
Il contatto con la terra attiva anche una reale modificazione dello stile di vita delle persone: alle esperienze di vuoto, di degrado e a volte anche di disperazione, subentra la rassicurante emozione di stare bene con se stessi e con gli altri. Alla depressione e al disagio del sentirsi inattivi e inutili, si sostituisce l’attivazione dei molteplici canali della comunicazione verbale e non verbale.
Attraverso l’agricoltura, il percorso di cura può arricchirsi di nuovi strumenti che inglobano la quotidianità. La presa in carico e l’accompagnamento terapeutico si aprono, così, a una nuova attenzione al mondo, cioè a quel sistema più ampio che comprende quello personale, familiare, comunitario e ridefinisce così anche i problemi e i vissuti.
Noi siamo abituati a pensare l'individuo separato da ciò che lo circonda. Va invece curata la reintegrazione anche dell’ambiente naturale nella consapevolezza personale e sociale, così che la terapia funzioni in modo integrato come sistema di cura. Solo quando si sperimenta la liberazione dall’angoscia e dall’inconsistenza emozionale si trovano forze e motivazioni per riconsiderare la propria condizione e di assumere la responsabilità della cura di sé.

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La terra guarisce


La società non troverà soluzione al problema ecologico se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. Nei cambiamenti radicali del tempo attuale, nella crisi profonda dei riferimenti etici e religiosi, le coppie genitoriali non hanno più le medesime motivazioni di un tempo per il loro comune progetto di vita. Non intendono più l’amore alla stessa maniera; non hanno, quindi, più lo stesso modo di educare. Si crea un nuovo ambiente che modella diversamente i bambini. La famiglia non socializza più nel senso pieno, si pone come la sfera del riconoscimento delle individualità. S’instaurano le condizioni del narcisismo, dove cadono i confini tra sé e gli altri e tutto è dentro l’Io: “siccome tutto è riferito a me, tu non puoi permetterti di non realizzare i miei desideri”. Il compito dell’autorealizzazione individuale è sì un onore eccitante ma è anche un onere inesorabile. Si diffondono, così, paradossalmente i sintomi dell'infanzia infelice: i disturbi alimentari, i disagi psichiatrici, l’iperattività, le demotivazione scolastica. La libertà, pretesa ma non sorretta da legami affettivi sicuri, si accompagna a un disorientamento profondo. Nella situazione provocata dai cambiamenti epocali nella cultura, nella visione di sé e del mondo, le condizioni della salute mentale sono compromesse.
All’agricoltura sociale sono attribuite anche funzioni di guarigione. La terra può guarire. Può promuovere azioni terapeutiche, rafforzare le reti di protezione sociale, diversificare gli strumenti e i percorsi per l’inclusione e l’organizzazione dei servizi. La nuova legge prevede che il contatto con piante e animali, insieme ai progetti per l’educazione ambientale e alimentare, possa affiancare e supportare le terapie mediche, psicologiche e riabilitative. Insieme a migliori condizioni di salute possono essere incrementate anche le funzioni sociali, emotive e cognitive delle persone.
A ispirare e guidare nuove pratiche terapeutiche e nuovi percorsi educativi non sono utopie romantiche o ingenui ideali salutisti. Sono invece solide teorie che hanno già provocato importanti conquiste in campo psichiatrico e psicoterapeutico. L’analisi esistenziale di L. Binswanger, la teoria della psicosi di H. Maldiney, l’ecologia della mente di G. Bateson, l’estetica del cambiamento di B. P. Keeney sono esempi profetici e incoraggianti. Nella cose (dunque nella natura) c’è una mente, dimora un’intelligenza. La mentalità tecnocratica pensa che le cose siano ottuse e conti solo l’intenzionalità umana. Considerare la terra come setting terapeutico sfida questo presupposto. Sentirsi bene nel contatto con la vita della terra, provare serenità e benessere nell’habitat naturale, collaborare alla riproduzione della vita nella pluralità inesauribile delle sue forme si accompagna con la sensazione di un’immediata percezione di qualcosa che ci guida a decifrare il nostro essere al mondo. Sono le cose che lo comunicano, fino a produrre in noi una fascinazione, un incantamento. La mente (l’intelligenza) della natura si comunica attraverso l’esperienza sensibile (la qualità) che mai potrà essere ridotta a pura sensorialità (la quantità). La sensibilità umana, causa ed effetto della guarigione, è l’organo recettore dell’intelligenza delle cose. Questa relazione ci mette in grado di ricevere dalle cose un senso: un’estetica, una significazione, un incantamento, una traccia di luce.
Nell’agricura di ASG e Release presentata agli utenti in percorso nel testo “Cantare la terra” (Effatà 2015), nei volumi Terra Cibo e Vita (Mimesis 2020), La terra che genera, cura e guarisce vita (Acra 2021) Terra, lavoro e autismo. Abilitazione attraverso l'agricura (Ecra 2021) per esempio, gli obiettivi terapeutici (la rielaborazione delle forme dell’angoscia, il lavoro sulla compulsività e la dipendenza, il trattamento delle figure genitoriali), la quotidianità relazionale (l’interiorità emozionale, la relazione affettiva, la sessualità e il piacere), il percorso dell’autonomia (la focalizzazione dello stile di vita, la gestione delle regole e il rapporto con la legge, l’assunzione di responsabilità) sono quotidianamente affrontati non solo nelle sedute o nelle terapie di gruppo ma anche negli atelier agricoli. Un’applicazione informatica guida l’operatore a intrecciare gli obiettivi mensili del PEI (Progetto Educativo individualizzato) con le possibili mansioni agricole stagionali (potatura, semina, trapianto, raccolta, cura della fertilità e della biodiversità …). L’orientamento terapeutico che si sviluppa dai concetti di metafora, descrizione doppia, sacramento, grazia di G. Bateson e della sua scuola aiuta il terapeuta e l’utente a ritrovare l’indissolubile unità tra mente, braccia e cuore che produce la gratificazione, costruisce il legame, favorisce la cura del dolore. L’attività agricola, infatti, è essenzialmente un lavoro di cura: nei suoi diversi tempi la lotta alle patologie, la conoscenza del terreno, la programmazione e la vendita sollecitano le capacità cognitive, attivano il piacere, costruiscono la rete sociale.
L’intervento riabilitativo diventa così un processo “liberatorio”, suscita protagonismo e partecipazione, dà parola e intesse relazioni. L’obiettivo dell’intervento terapeutico, infatti, non consiste solo nel fermare l’abuso delle sostanze o rendere sopportabile il dolore, ma particolarmente nel creare le condizioni del “piacere di vivere” che è attività (“vitalità” di vita quotidiana) contrapposta alla passività delle dipendenze e delle patologie.

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Di terra si vive


Il mondo politico, economico e sociale è alle prese con le difficili condizioni della crisi economica mondiale. La vocazione agricola del nostro paese può rappresentare per i giovani una porta d’accesso che li aiuti a tornare alla campagna, e in particolare, ai territori marginali, dimenticati o sottoutilizzati. Pur in un periodo di pensante crisi economica, l’occupazione agricola ha tenuto, anzi ha incrementato gli addetti. L’agricoltura sociale offre anche la possibilità reale di nuovi posti di lavoro. È fondamentale favorire l’inclusione sociale, a partire dal diritto del lavoro e al lavoro. La dichiarazione di Filadelfia afferma che il lavoro non è una merce e si definiscono diritti umani ed economici di base secondo il principio che « la povertà, ovunque esista, è pericolosa per la prosperità di tutti ».
Quando una condizione di precarietà si stabilizza, si diffonde la sensazione di non avere via d’uscita. Il cronicizzarsi della sconfitta minaccia la speranza di farcela, blocca le motivazioni, inaridisce le risorse emozionali. Il non trovare lavoro si trasforma in un più radicale e diffuso senso d’inadeguatezza di fronte al mondo. Si perde la capacità di reagire, si diventa indifferenti agli stimoli, si azzera la creatività progettuale.
Più lunga è anche la crisi economica e sociale, più il tunnel della mancanza di prospettive appare insuperabile. Attraverso azioni mirate, che nascono nella cultura della partecipazione e della condivisione, è possibile attivare sinergie anche nell’organizzazione sociale, nelle interazioni tra pubblico e privato, valorizzando e potenziando tutte le risorse presenti sul territorio, che possono offrire sostegno all’imprenditoria giovanile e al lavoro.
Dove il lavoro non è possibile per le condizioni precarie di salute, l’agricoltura sociale può permettere forme di remunerazione più occasionali e residue, può in altri modi ristabilire capacità e attitudini.
Il lavoro agricolo riconosciuto (anche economicamente) è un mezzo importante per coltivare talenti, sviluppare attitudini manuali, cognitive, relazionali.
Le persone inserite in percorso terapeutico imparano così a diventare “utenti critici”: non individui passivi, assistiti dai servizi pubblici e privati ma cittadini attivi e corresponsabili anche nella difesa del valore della propria salute e del proprio territorio.

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Trasformare la clinica in società


Si parla spesso, a proposito del disagio mentale e delle tossicomanie, del loro “trattamento aspecifico”, cioè di un intervento di cura che può essere talmente ampio da non essere caratterizzato da una terapia ben definibile e individuabile. Questa cura tende quindi a coincidere con il cambiamento dello stile di vita e del significato progettuale della esistenza personale.
Il vuoto della vita può essere affrontato con il pieno della quotidianità, il deserto relazionale può essere animato attraverso intense simbologie di appartenenza, la caduta sociale della speranza può essere contrastata dalla passione per l’azione sociale, culturale, spirituale. In questi percorsi si propongono le esperienze fondanti del vivere e si ricostruisce innanzitutto l’umano (che è l’opera a più grande).
La sinergia dell’intervento clinico, della pratica educativa e della qualità umana dello stile di vita consiste dimostra l’efficacia del lavoro di cura: l’assunzione etica del desiderio che diventa capace di realizzazioni creative.
I luoghi di accoglienza e di cura del dolore mentale possono così diventare laboratori sociali, avamposti della ricerca di nuovi percorsi di civiltà e di salute collettiva, e dunque politica, fondati sulle relazioni, sugli affetti, sulla condivisione di ciò che non ha prezzo e che non può essere oggetto di consumo.
A volte siamo portati a proiettare nei più fragili e vulnerabili i fantasmi delle inquietudini sociali e vogliamo ad ogni costo trovare sintomi di disagio e di patologia, fino a immaginare il mondo trasformato in un'immensa clinica dove a ogni difficoltà e problema sono pronte terapie e farmaci. Questa grande clinica non è necessaria. Esistono certo anche sofferenze cliniche ma la soluzione da ricercare sta altrove, nell'operazione inversa: trasformare la clinica in società, dove non esistono solo obiettivi individuali ma anche collettivi e dove il benessere si chiama qualità della vita.
Anche l’agricoltura sociale può partecipare a questo nuovo laboratorio della salute.

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